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LA CRITICA di Albino Galvano
 
Mostra aperta il 28.10.67 alla Galleria d'arte San Diego.
Presentazione di Albino Galvano.

La storia di Marius Russo è un poco la storia di una singolare stagione torinese alla ricerca di un punto di consistenza tra l'ondata di recuperi culturali che alla fine della guerra aveva portati con sé, l'ondata, se si vuole, di nuove curiosità, magari soltanto di nuove mode o di nuove avventure, e il,patetico attaccamento a una tradizione di tempi seri, forse un poco pedanti, ma che ci avevano formati, che non potevano del tutto rifiutare o lasciarci dietro le spalle colla baldanza dei giovani senza passato né rimpianti. Come tale la vicenda dell'amico Russo è anche un poco la storia di tutti noi, anche se per ciascuno ha importato scelte, responsabilità, errori diversi, la storia di una generazione perplessa e angustiata tra la tentazione di dichiararci ancora giovani, e il timore, tanto più tormentoso quanto più ci sforzavamo di celarlo a noi stessi, di gettar la fedeltà al passato per un gesto puramente mimetico, di sentirci moderni, "aggiornati" solo perché dei moderni recitavamo la parte. Perplessità che ciascuno a cercato di superare con soluzioni proprie, e non è ora a cercarsi quali di queste soluzioni consentono un bilancio positivo o meno: volevamo solo accennar a questo stato d'animo così poco comprensibile a che per beate ragioni di più giovane età non vi è passato attraverso, per introdurre all'esame dei modi individuali, così personali e talvolta così sconcertanti, con cui Marius Russo ha affrontato secondo il suo angolo visuale un problema che non è stato soltanto suo.

Potremmo rifarci alle stesse dichiarazioni del pittore. Queste sono ben conosciute perché Marius Russo ha sempre accompagnato l'attività di artista con un'inquieta, puntigliosa, vena di riflessione critica, e ha dato a stampa il risultato delle sue considerazioni. Ma non vogliamo, almeno in un primo momento, che dei fattori altri da quelli puramente pittorici s'interpongano tra le sue opere, quali oggi egli ce le presenta, e la nostra reazione d'osservatori, anzi riteniamo che convenga proprio chiamar l'attenzione sull'interesse che i quadri di Marius Russo possono presentare anche prescindendo da quello che sappiamo sulla sua cultura e sulle sue attitudini didattiche. Attivo in una stagione che al "manifesto" accordava fiducia, Marius Russo ha firmato dei manifesti che, se chiarivano quali fossero i suoi intenti e di quegli intenti le ragioni di fronte all'impegno pittorico, possono anche aver suggerito a qualcuno come un pregiudizio intorno alla sua produzione artistica: quasi per questa egli non chiedesse un giudizio autonomo, ma la presentasse come l'esemplificazione o l'illustrazione delle sue teorie. Ora, certo, le due cose non possono mai venire veramente separate, e sarebbe errore considerar la pittura di Russo e il suo pensiero critico come cose da misurar con metri diversi e inconfrontabili, ma sarebbe errore anche più grave non far le necessarie distinzioni e, trovato il punto d'incontro, non affrontar l'esame della sua pittura come tale, in piena autonomia.

Il punto d'incontro, di cui dicevamo, tra Russo Pittore e Russo teorico ci sembra consistere in quel suo ambivalente amore per la realtà e per lo stile. Presso una vicenda di gusto che aveva rifiutato il linguaggio tradizionale, la sua fiducia in un ottica e in una conseguente spazialità comuni, per trasfigurare o deformare o violentare o, magari, recisamente negare quelle costanti "naturalistiche" o "figurative" che dir si vogliano, Russo appare come diviso tra la ferma fiducia che esse ancora consentano delle possibilità positive di realizzazione, un discorso tutt'ora valido, e il desiderio di non rinunciar a nulla delle nuove sollecitazioni ed eversioni, pronto a cercar la cerniera tra rivoluzione e conservazione, presso il convincimento che tra le due non sia alternativa, ma piuttosto possibilità di mediazione, un modo di far servire la rivoluzione del linguaggio non alla distruzione ma alla integrazione e all'approfondimento dell'elemento perenne della visione tradizionale. Un programma ambizioso, come si vede, forse ingenuo, forse disperato, non è qui il caso di discuterne in astratto, ma di servirsene come regola per definire i termini in cui Russo realizza il proprio mondo di pittore.

Mi pare che un'osservazione s'imponga subito. Che cioè il problema che egli affronta coincide con quello cui si trovarono verso la fine del primo decennio del nostro secolo, i pionieri di un'arte che si voleva eversiva sì, ma non astratta, anzi carica di umana vitalità, se si vuole di umana aggressività e virulenza, il problema dei primi futuristi più precisamente nei modi in cui si poneva nel trapasso di divisionismo in futurismo in una parola. So che il raffronto non dispiacerà a Russo, anche se personalmente riteniamo che una certa attitudine più contemplativa che dinamica, un certo gusto del monumentale, accostino piuttosto i termini del suo modo di comporre e scomporre la figura e la natura morta, al cubismo nella sua declinazione "orfica" cui lo avvicinano, come al futurismo quel gusto del colore acceso e magari elementare, della pennellata talvolta sprezzante che è estraneo al cubismo classico. E infatti vien subito a rincalzo un'altra curiosa impressione: che nelle vicende della pittura europea degli anni dieci ciò che meglio le opere di Marius Russo ci ricordano sono certi abbozzi e tormentate prove di gruppi dal cubismo e dal futurismo sollecitati nei più diversi paesi europei: le cose dei "rayonnistes" per esempio. Né può stupire che sollecitazioni così lontane nel tempo potessero tornar attuali all'inizio del secolo dopoguerra: che si presentò appunto anche, lo dicevamo in principio, come un grande sforzo di recupero di fermenti abbandonati durante il lungo digiuno quaresimale del "Novecento" ma che s'imponevano come tutt'ora stimolanti. Ed è, se mai, suo merito l'aver subito individuato il punto sensibile di un problema d'incontri tra ascendenze culturali e esigenze attuali. Che mi par poi costituire il senso vero di quel suo appassionato teorizzare sul "Sostanzialismo", come allora amò chiamarlo, e se oggi egli non sembra insister sul termine al concetto mi sembra rimasto fedele.

E percepiamo infatti, anche in questi quadri recenti, quel senso sicuro anche se un poco intellettualizzato e perciò spasso complesso o complicato, della distribuzione delle masse nello spazio. Masse che sono figure e oggetti, in uno spazio che non tanto le avvolge quanto da esse si sprigiona e in esse rientra con un gioco di scambi, di ribaltamenti, di dissezioni prismatiche, che risultano sottolineati dall'accensione dei colori, dalla stessa diversità nella conduzione del segno, volta a volta espressionisticamente rotto e impastato, oppure racchiudente in un contorno continuo le stesure piatte delle tinte. Abbiamo parlato di un certo gusto nel monumentale, del blocco nel modo di esporre le masse; come il segno franto evocava il passaggio di divisionismo in cubismo, questo cercar un risultato sintetico attraverso la stessa analisi delle strutture ottiche e la loro dislocazione può suggerire un altro riferimento al riversarsi del simbolismo in cubismo, per esempio in un certo momento della pittura di Gino Rossi. Ma poi giova richiamar l'attenzionesu ciò che in Russo è proprio e personale, quella visione del mondo sostanzialmente ottimistica e cordiale, quel piglio, in ultima analisi festoso, con cui egli affronta i complessi e difficili problemi che una pittura che si vuole tanto intenzionalmente carica di preoccupazioni intellettuali, sembrerebbe dover celare o turbare. Perché Russo è indubbiamente un pittore che ama le cose che prende a soggetto dei suoi quadri, e che ama di un affetto tanto più spontaneo e improvviso, quanto più egli forse per quel pudore dell'effusione che è proprio degli animi caldi ma controllati dall'intelligenza per paura di esserne travolto sino all'esuberanza o allo sfogo, si sottopone alla disciplina mentale di un dipingere così "culturalizzato". E, tuttavia sono proprio queste mistioni di elementi così contrastanti a dar un carattere peculiare e non facilmente confondibile alle cose più felici di Marius Russo. Personalità inquieta, talvolta contraddittoria o discontinua, ma sempre animata da un impegno tutt'altro che banale, come non mancherà di avvertire l'osservatore che in questa mostra troverà più di un quadro da amare. E, soprattutto, un impegno morale fatto di serietà e dedizione al compito assunto.

Soltanto quando sono così esaminate nella prospettiva creata dalla personalità singolare del loro autore, le opere di Marius Russo rivelano il significato di quelle che potrebbero anche apparire le intermittenze o le irrequietezze di un temperamento impaziente di una troppo uniforme ricerca stilistica, gli squilibri di chi cerca in direzioni differenti e contrastanti. Poiché Russo sa che sono queste le critiche iu spesso rivoltegli, non esitiamo a parlarne. Il timore di cadere nel manierismo, nella ripetizione di talune cadenze o di certe sigle (uno dei rimproveri che frequentemente, nei suoi scritti il Russo ha rivolto alle moderne "avanguardie") può portarlo talvolta oltre il limite e indurlo ad abbandonarsi a quello che è l'altro aspetto e non il meno simpatico della sua personalità, il gusto dell'invenzione un poco letteraria o dell'impressione affidata alla memoria e agli affetti in un discorso pittorico concitato e sommario in contrasto con gl'intenti costruttivi e di approfondimento "sostanzialistico". Ma già le cose più felici rivelano, in questa mostra, come egli tenda a risolvere queste diverse sollecitazioni in unità.

Conosciamo il temperamento proselistico e polemico di Marius Russo, e non dubitiamo che anche questa sarà per lui un'occasione non soltanto a farci gustare ciò che dipinge, ma a provocar la discussione e a invitarci a risalire ai principii. Proprio per questo abbiamo inteso aiutar lo spettatore ad accostarsi alla sua opera tenendo conto tanto del significato che essa assume relativamente a una situazione di cronaca culturale torinese degli anni in corso, quanto dei valori propriamente pittorici che in essa si integrano. E crediamo che sotto l'uno e l'altro aspetto questa esplorazione sarà un'avventura dello spirito ricca di interesse e di stimolo. Perché come dicevamo all'inizio i problemi che Russo affronta colla penna e coi pennelli sono anche quelli per cui, in un modo o nell'altro, ciascuno di noi è stato tormentato o eccitat. E non possiamo non sentirci, malgrado ogni diversa determinazione personale, solidali con lui.

 

Mostre personaliil 1966 Promotrice delle belle arti al Valentino.

Mi pare che un'osservazione s'imponga subito. Che cioè il problema che egli affronta coincide con quello cui si trovarono verso la fine del primo decennio del nostro secolo, i pionieri di un'arte che si voleva eversiva sì, ma non astratta, anzi carica di umana vitalità, se si vuole di umana aggressività e virulenza, il problema dei primi futuristi più precisamente dei modi in cui si poneva nel trapasso di divisionismo in futurismo in una parola. So che il raffronto non dispiacerà a Marius Russo, anche se personalmente riteniamo che una certa attitudine più contemplativa che dinamica, un certo gusto del monumentale, accostino piuttosto i termini del suo modo di comporre e scomporre la figura e la natura morta, al cubismo nella sua declinazione " orfica " cui lo avvicinano, come al futurismo quel gusto del colore acceso e magari elementare, della pennellata talvolta sprezzante e che è estraneo al cubismo classico. E infatti vien subito a rincalzo un'altra curiosa impressione che nelle vicende della pittura europea degli anni dieci ciò che meglio le opere di Marius Russo ci ricordano sono certi abbozzi e tormentate prove di gruppi dal cubismo e dal futurismo sollecitati nei più diversi paesi europei: le cose dei " rayonnistes " per esempio.
E percepiamo infatti, anche in questi quadri recenti, quel senso sicuro anche se un poco intellettualizzato e perciò spesso complesso o complicato, della distribuzione delle masse nello spazio. Masse che sono figure e oggetti, in uno spazio che non tanto le avvolge quanto da esse si sprigiona e in esse rientra con un gioco di scambi, di ribaltamenti, di dissezioni prismatiche, che risultano sottolineati dall'accensione dei colori, dalla stessa diversità nella conduzione del segno, volta a volta espressionisticamente rotto e impastato, oppure racchiudente in un contorno continuo le stesure piatte delle tinte.


 
 
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